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Viaggiare vuol dire scoprire nuove culture, mettere alla prova se stessi, fare incontri significativi.

Lei sbarca a Tel Aviv, la liberal town. E’ in Israele per un corso sulla Shoah. Viaggia da sola perché la sua compagna ha dovuto disdire all’ultimo momento. Questo la rende un po’ inquieta, aver viaggiato in tutta Europa le sarà sufficiente? Capirà con prontezza chi si troverà davanti?

I suoi occhi si soffermano su una realtà molto complessa e variegata.

Le sembra di vedere scorrere tutte le nazionalità europee, tante lingue, diverse culture…

Sulla spiaggia donne in bikini ma anche veli. Grattacieli insieme a mercati di sapore orientale.

L’albergo è ricavato in un palazzo della Bauhaus, uno dei segni della migrazione tedesca..

E’ shabbat, la città si ferma lentamente, gli ultimi autobus prima di rientrare suonano alle fermate per sollecitare gli ultimi rientri.

Poi tutto in modo quasi impercettibile si blocca. La città tace mentre le prime famiglie si preparano per il rito.

Mentre si reca da osservatrice in sinagoga un gruppo di bambini le offre un foglio con le preghiere.

Non lo ritira, come se compisse un sacrilegio. Lei non è ebrea, eppure la catalogano nel suo modo di porsi come ebrea francese.

 

Lui è un interprete, lavora per il Parlamento e per lo Yad Vashem. E’ anche guida turistica, due anni di studio e soggiorno sul campo.

Quando era giovane, ha avuto un’esperienza significativa nel kibbutz. Un’occasione per capire la sua vera vocazione. Sa relazionarsi con dimestichezza con i gruppi.

E’ irlandese con origini italiane da parte di madre. Non abbandona mai il suo cappello, ma la kippah in pubblico non la porta.

A Gerusalemme la paura non ti abbandona mai, soprattutto se vivi a due passi dal Muro che separa la città da Betlemme. E’ facile dire in modo rassicurante che una parte degli arabi israeliani non lascerebbe Israele.

Sul suo profilo compare un gruppo che lascia senza fiato “Cittadini armati per lo stato”.

Ma ascolta la sera i telegiornali italiani e frequenta la sinagoga italiana.

Donne e buoi dei paesi tuoi…

Lui le racconta che ha fatto venire il figlio da Israele per incontrare la madre morente in Italia. Lei ha un sussulto, perché ha perso la madre da giovane e trova questa esperienza devastante. Sì, un passaggio tra generazioni che segna.

E’ in questa occasione che scopre che lui ha un figlio.

Del resto, un israeliano senza figli è un ossimoro. Il paese è giovane, in continua trasformazione e si fonda su un forte legame identitario. Forse quello che si è smarrito in Italia.

Al Museo di Israele è la giornata delle famiglie, che lo invadono festosamente.

Il teatro dei burattini ha al suo centro la figura di Arlecchino che parla in ebraico.

Lei allo Yad Vashem rimane sconvolta dal modellino di Auschwitz, scopre come la memoria della Shoah sia profondamente radicata e condizioni il paese. Del resto se il Muro del pianto è per un ebreo storia viva, la Shoah è il contemporaneo.

I giovani di terza generazione si fanno tatuare con orgoglio un numero sul braccio. La memoria è parte integrante del paese. Il ricordo è indelebile.

Ma è ancora vivo l’antisemitismo? In Italia lo è in forma strisciante. Battute, invidie, forme estreme manifestate nelle esternazioni allo stadio. Il caso di Anna Frank docet.

Le sinagoghe in Italia sono blindate, come lo sono le comunità. Allora Israele appare forse per alcuni l’ultimo rifugio. Anche con tutte le sue contraddizioni. 

Quando torna in Italia, decidono di rimanere in contatto, Hanno interessi comuni e le diversità li hanno sempre affascinati. In particolare condividono l’interesse per la storia, per la cultura e per la politica.

Lei a distanza riesce a fargli un’intervista sulla sua esperienza in Israele, ma lui tergiversa, non vuole che la pubblichi, Non gli piace la frase che ha scritto “la vita è stata troppo dura per me”, anche se da sempre sostiene che l’ebraismo sa creare degli anticorpi. Lei pensa che sia per gli episodi verbali di antisemitismo che l’hanno toccato.  

Le piacerebbe vivere in Israele o fare un’esperienza nel paese? Difficile da capire, l’esperienza che ha avuto è stata troppo breve.

Dopo tre anni decide di ritornare, una visita breve per visitare la parte moderna di Gerusalemme, per capire cosa circonda il nucleo sacro della città vecchia.

E’ in un quartiere a sud della nuova Sinagoga, un quartiere elegante dove l’amico ha vissuto per qualche anno. 

Lei lo perlustra con curiosità, sembrano molto diffusi luoghi di riflessione e di culto.

Una delle sinagoghe è aperta la sera, per momenti di riflessioni comune. Alza un poco la voce per chiedere informazioni, ma il rabbino esce dall’aula infastidito. Questo particolare la diverte.

Così come la stupisce la presenza di una piccola biblioteca di quartiere, con una bibliotecaria ieratica ed elegante nel portamento. Scambia qualche parola in inglese. I libri sono tutti in ebraico ed inglese.

Al Ben Gurion è giovedì e c’è una gran fretta di partire.

Deve chiedere aiuto per individuare dove andare. Le si avvicina una ragazza coreana, che si lamenta perché le attese sono lunghissime. Le indicano una fila ma la ragazza la fa passare sulla fila più esterna.

In sostanza hanno saltato tutta la fila, ma nessuno si lamenta.

Inscena poi un teatrino con i soldati, relativo alle indicazioni ricevute, come se fosse inconsapevole.

Finge di non capire, ma si stupisce del coraggio e della sfrontatezza della ragazza.

Quando tocca a lei, le chiedono se conosce lo spagnolo.

Di conseguenza tutto il controllo di sicurezza sarà svolto in spagnolo, è così sorpresa che sta al gioco.

Anche questa volta è riuscita a muoversi con una certa prontezza, può essere fiera di se stessa.  

I controlli di sicurezza sono soggettivi e imprevedibili? Al muro del piano un giovane soldato israeliano l’aveva accolta con un grande sorriso e un ampio: “Shalom”. A sorpresa non le aveva controllato la borsa.

Ma il livello di attenzione è altissimo, era entrata per chiedere informazioni in una colonia estiva e aveva fatto scattare il controllo di sicurezza. La curiosità può essere molto pericolosa, soprattutto se sono coinvolti dei bambini… 

Lei al rientro decide di visitare in Italia la sinagoga che lui frequenta, è innamorata del rosso delle vetrate di Luzzati. Le trasmettono il senso della vita di un artista creativo per antonomasia.

Ha visto qualche foto che l’hanno incuriosita. Allora scrive alla comunità a nome dell’amico, chiedendo di visitare la sinagoga e di poter scattare qualche fotografia. Deve inviare la fotocopia del documento d’identità. Si presenta alla sinagoga, nota subito all’esterno la presenza della guardia di finanza.

L’interno è blindato, codici d’accesso in tutte le sale. Si sente quasi in trappola perché la segretaria tarda ad arrivare.

Ma quando si apre la vista sull’interno della sinagoga, il colpo d’occhio è magnifico.

La luce delle vetrate inonda lo spazio e si riflette sui simboli della tevah. Cercherà poi di decifrarli consultando l’alfabeto ebraico e la simbologia delle tribù di Israele. Riconosce la tribù di Giuda, che ha come simbolo la vite. SI smarrisce tra gli altri simboli, E le avevano detto che l’ebraico moderno assomiglia al greco antico, che lei ha studiato quando era ragazza.

Si volta e vede gli ampi spazi dei matronei, dove viene replicato il simbolo della Menorah.

Imbarazzante pensare che le donne seguano le funzioni da lì, le ricorda abitudini vicine al Medioevo.

La segretaria la invita a partecipare ad un corso su Luzzati che propone la comunità. Peccato che sia così distante, dovrà accontentarsi di un approfondimento individuale.

“Hai conosciuto il rabbino?”, le chiede lui al telefono. No, non l’ha conosciuto. Si sarebbe sentita in imbarazzo. La voce di lui è distante, ha ancora problemi con il padre, sente la grande responsabilità di crescere il figlio. Lei ha un attimo di incertezza, non sa cosa dire.

Poi gli scrive: Non sono brava a parole, ma volevo dirti di lasciare, se riesci, anche uno spazio per te.

E’ importante!

M.A.

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