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In un pomeriggio assolato di fine autunno, sotto uno straordinario cielo azzurro, passeggiando sui resti di una recente nevicata, ho scoperto un piccolo, prezioso gioiello del romanico lombardo. Si tratta della Chiesa di S. Maria di Campagna di Ligurno, la frazione principale del Comune di Cantello, in provincia di Varese, al confine con quella di Como e con la Svizzera.

La chiesa e l’alto campanile costituiscono gli edifici più pregevoli del Comune di Cantello: entrambi adagiati su un pianoro in prossimità del cimitero, possono essere datati tra l’XI e il XIII secolo.

Alcuni studiosi ipotizzano, ma non ci sono prove in merito, che l’autore del progetto possa essere Lanfranco da Ligurno[1], che diresse la costruzione del Chiostro di Voltorre a Gavirate (Varese)[2] e operò nel cantiere di Santa Maria al Monte a Varese assieme al padre Domenico.[3]

Per ricostruire la storia della chiesa e del suo campanile possiamo riferirci a fonti scritte, alcune certe, alcune solo ipotizzabili. Come quella più antica dell’IX secolo: si tratta di un placito (giudizio, udienza) che si tenne nell’aprile dell’anno 844 presso l’oratorio di Santa Maria “in Lucurno”. Potrebbe trattarsi della chiesa preesistente a Santa Maria di Campagna, più piccola, della quale sono ben visibili le fondazioni dei muri perimetrali nel pavimento della chiesa attuale e risalente quasi certamente al VI o VII secolo d. C..[4] Del placido racconta lo storico Giorgio Giulini che nelle Memorie della città, e della campagna di Milano ne' secoli bassi (1769), indica l' “Oratorio di Santa Maria da Lacurno, forse Ligurno nella Pieve di Arcisate” come sede di udienza di un processo che vedeva come contendenti, in merito al rivendicato possesso di alcuni beni in Balerna, il longobardo  Teutperto ed il Monastero di Sant'Ambrogio di Milano.[5]

 

Fonti certe sono invece quelle del XVI secolo. Negli Atti delle Visite Pastorali, contenuti nell'Archivio della Curia Arcivescovile di Milano, si legge che, il 30 ottobre 1567, il delegato dal cardinale Carlo Borromeo,  Giovanni Battista Castano, arciprete di Monza, giunse a Ligurno in visita pastorale e riferendosi alla chiesetta "sub titulo S. Mariae de miraculo" annota che le pareti sono, per la maggior parte, dipinte "parietes sunt pro maiori parte picti" e che l'altare maggiore si trova in "capella tota picta cum duobus parvis fenestris ad latera apertis".[6]

Nel 1574, il 22 agosto, la chiesa di Madonna di Campagna accoglie in visita pastorale addirittura San Carlo Borromeo, il quale vi trascorre anche la notte. [7]

In una Convenzione del 20 settembre 1764 tra l’Arcivescovo di Milano e gli abitanti di Ligurno e Cantello, viene riportata la notizia che nella chiesa si esercita il culto da oltre due secoli.[8]

Gli interventi realizzati dal XVII secolo in avanti, sino all’anno 1836, hanno apportato modifiche, mascheramenti ed intonacature, all’aspetto evidenziato negli Atti delle visite pastorali del Cinquecento.

Il complesso è stato dichiarato Monumento Nazionale nel 1912 attraverso Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione notificato il 6 dicembre 1912.[9]

 Tra il 1971 e il 1974, grazie all’avvocato Steno Baj, (“…spinto al compimento di un’opera che spero resti di testimonianza del mio particolare attaccamento a Cantello…”), vengono promossi e finanziati lavori di recupero e di restauro integrale della Chiesa, con la totale collaborazione delle due parrocchie e dell’Amministrazione Comunale. A ricordo della generosità del mecenate rimane una lapide apposta sulla parete settentrionale interna della chiesa.[10]

Dopo una scrupolosa serie di esplorazioni, assaggi e studi preliminari, l’architetto Adriano Cornoldi, con l’approvazione della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia[11], procede alla rimozione degli intonaci esterni a calce e delle sovrastrutture murarie addossate esterne (una cella mortuaria, alcune sepolture di sacerdoti) ed interne (decorazioni neoclassiche non di pregio).[12] Questi lavori, effettuati dalla ditta specializzata Abele Baj e Figlio di Milano[13], riconducono la chiesa alle sue fattezze romaniche: una semplice pianta rettangolare, ad aula unica terminante con un’abside semicircolare, struttura in muratura a vista in pietra irregolare.

La facciata esterna, dopo i restauri, si presenta a capanna, con rientranze, lesene in rilievo, con coronamento ad archetti rampanti e cigliati, gli stessi del campanile, e una piccola finestra a croce greca. L’abside semicircolare, sopra la quale si ripete la finestra a croce greca presente in facciata, presenta nicchie a fornice cigliate, una presenza assai rara[14] e tre piccole aperture. 

Nella parete del lato meridionale si aprono tre finestrelle, ancora in parte con decorazione ad affresco all’interno: quella vicina all’altare è la più pregevole per la decorazione geometrica.

Sul lato sinistro si innalza la torre campanaria, alta poco meno di 30 metri. Restaurata tra il 2000 e il 2001, è decorata con rientranze con archetti pensili, monofore e con bifore cigliate nella cella campanaria. Si può ipotizzare che questo slanciato campanile abbia avuto origine dalle fondamenta di una torre di avvistamento e segnalazione di età romana[15].

Partecipiamo ad un'uscita a Castiglione Olona con il corso di fotografia.

Lo scopo è quello di rappresentare una città d'arte, fissando il suo volto quattrocentesco, l'impianto umanistico.

Scopro che la Chiesa di Villa, l'imponente edificio centrale che ostenta il suo San Cristoforo,  è stata realizzata con il marmo delle cave di Molera.

Da qui l'idea di visitare in giornata le cave. Solo il caso ci fa incontrare una guardia ecologica che conosciamo.

Scopriamo le macine e il vecchio mulino di Cagno. All'interno un focolare seicentesco connota la storia di questa costruzione.

CASTELLO DI MASNAGO, VARESE

 

Stefano Medaglia

Autore: Medaglia Stefano (1970), esecutore

Cronologia: 1994

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: tecnica mista su tela

Misure: 147 x 147

Stefano Medaglia, artista di Venegono Superiore, è autore anche delle vetrate della Chiesa di Santa Caterina in Pianasca.

Ghirla e il suo lago sono uno dei testimonial più significativi del turismo in provincia di Varese.

D’estate il paese richiama alla mente temperature particolarmente gradevoli.

Inoltre la sua pensilina liberty accoglie i visitatori alla fermata degli autobus, a documentare i fasti degli inizi del Novecento e l’arrivo della tramvia.

Il mercatino natalizio si snoda attraverso le vie del piccolo centro ed espone i prodotti locali (mele e formaggi della valle). Interessa anche la via del Ghetto, che rievoca una possibile presenza ebraica.

In realtà un nucleo ebraico non è ufficialmente documentato, anche se questa piccola località  ha costituito, durante l’ultima guerra,  rifugio per gli ebrei che fuggivano in Svizzera, vista la vicinanza del confine.

Ghirla rappresenta anche la provincia operosa, dalle fucine del Maglio al Mulino Rigamonti.

In particolare l’attività del mulino, che sfrutta le acque del torrente Margorabbia, è attestata con la stessa famiglia a partire  dal 1787.

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Casa-museo di Vincenzo Vela (1820-1891)

Gipsoteca monumentale

Collezioni dell’Ottocento

Mostre temporanee

Parco panoramico

Il Museo

Villa Vela, sede del Museo oggi gestito dall’Ufficio federale della cultura, venne donata nel 1892 alla Confederazione Svizzera, insieme alle collezioni in essa conservate, dal pittore Spartaco Vela (1854-1895), figlio del più noto Vincenzo, uno dei massimi scultori realisti dell’Ottocento.

La villa – già aperta al pubblico come museo privato dallo stesso scultore – venne designata ufficialmente “Museo Vela” nel 1898, divenendo il primo museo in Ticino.

Immersa in un ampio parco, agibile al pubblico, la dimora è considerata una delle più importanti case d’artista dell’Ottocento europeo, e la più significativa su suolo elvetico.

Gli ambienti sono stati interamente ristrutturati (1997-2001) dall’architetto Mario Botta e più recentemente si è proceduto a un riallestimento delle collezioni permanenti (2015).

Le collezioni

Accanto alla gipsoteca di Vincenzo, eccezionale per qualità e per monumentalità, che raccoglie i modelli originali in gesso di quasi tutte le opere dello scultore, il Museo custodisce altri importanti nuclei: numerosi bozzetti in terracotta e gesso, la pinacoteca e la biblioteca di famiglia, una ricca collezione di disegni e opere grafiche, e una sorprendente raccolta di fotografie d’epoca, nonché i lasciti del figlio pittore Spartaco – composto principalmente dei suoi quadri – e del fratello maggiore Lorenzo Vela (1812-1897), notevole scultore-animalista. Di quest’ultimo sono conservati modelli in gesso e sculture in marmo e terracotta, nonché la ricca e qualitativamente notevole raccolta personale di dipinti ottocenteschi di area lombarda e piemontese.

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© Museo Vincenzo Vela / foto Mauro Zeni.

In una giornata pazzerella di marzo, durante le consuete ma sempre significative giornate Fai, decido di visitare il Monastero di Sant’Antonino a Luvinate.

Sulla voce della guida, che ci chiede di rispettare i ritmi dei frequentatori del golf,  cerco di ripercorrere le tappe della storia del convento.

C’è un legame tra Luvinate e la Sala Veratti di Varese, refettorio delle benedettine?

Il convento di Luvinate, datato già nell’anno mille, venne sciolto da Carlo Borromeo per “comportamenti sconvenienti” delle monache alla metà del ‘500. Le monache vennero trasferite proprio a Varese.

Il monastero è proprietà del Golf club Varese, che ne ha curato con perizia il restauro a partire dagli anni trenta del  Novecento, in un contesto naturale di grande pregio che permettere di affacciarsi sul Lago di Varese e sul Monte Rosa.

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Lungo la strada che portava un tempo a Borgosesia e che ora si snoda ai piedi della collina, si apre lo scenario sacro di una scalinata.

Ci troviamo al Santuario della Madonna della Gelata.

Un’ immagine venerata fin dal Medioevo, in riferimento ai bambini non battezzati.

Il miracolo consisteva nel rianimare i bambini morti, il respiro recuperato era sufficiente per essere battezzati e sepolti in terra consacrata.

Intorno alla immagine sacra nasce una vera e propria chiesa grazie all’intervento del vescovo Bascapè.

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  La Parrocchiale di San Giacomo

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